La cresta ovest dei Sibillini- Il Redentore e il Pizzo del Diavolo

Non si può dire di no ad una convocazione sui Sibillini, soprattutto quando l’escursione riguarda la cresta ovest del lago di Pilato, quando questa è innevata e soprattutto quando c’è di mezzo la smania repressa che Luca ha accumulato nell’ aver solo sfiorato la conquista del Pizzo del Diavolo. Alla terza convocazione ci siamo, Luca ha avuto ragione anche delle perturbazioni che instancabili ci hanno tenuto con gli zaini in stallo. Si aggrega a noi Giorgio Di Stefano indomito ed entusiasta giovane del ’56 (spero di dire bene), preziosissimo nuovo acquisto del gruppo. Per lui è la prima volta dei Sibillini e per me è l’ennesimo battesimo che festeggio con un amico sulle mie montagne. Alzataccia delle nostre e alle 7, in piena alba siderale che stenta ancora a colorarsi dietro le linee di cresta della Laga, siamo alla sella di Forca di Presta, sbattuti e pietrificati da un leggero quanto gelido vento provienente da nord. Il progetto era percorrere l’intera cresta ovest del Lago di Pilato, salire con due vetture e ritornare al recupero della prima ma una defezione dell’ultimo momento ci ha costretto ad utilizzare una sola vettura. Per non essere strapazzati dal vento dopo pochi passi abbandoniamo il più classico dei sentieri utilizzati per salire al Vettore e ci buttiamo di traverso nella pagina sud della montagna, senza sentiero; quasi sgombra di neve, colorata di un caldo e tenue color rosato dallo spuntare del sole, abbiamo il Vettoretto a vista davanti a noi. E’ la linea di traverso a raggiungere questa cima secondaria, il nostro sentiero. Nel frattempo il sole che spunta dietro la Laga appaga e premia ancora il nostro istinto naturale alle alzataccie. Un variare di colori incessante, dalle sfumature siderali al color rosso fuoco di una palla che sia fa ammirare ad occhio nudo ancora per pochi secondi e che poi consegna, dopo pochi istanti, le chiavi del mondo ai nostri sensi per farcelo ammirare così come siamo abituati a vederlo. Chissà se i nostri tanti scatti fotografici ci consegneranno in seguito anche una sola minima parte della magia vissuta in quei momenti? Archiviato il momento topico dell’alba, saliamo spediti; attraversiamo alcune lingue di neve, rimasugli delle ultime nevicate precoci; sono ghiacciate e dure. Servirebbero i ramponi anche se per soli pochi passi; resistiamo e con difficoltà siamo oltre. Raggiungiamo la sella sotto ll Vettoretto e riprendiamo il sentiero normale. Nel frattempo nuvole veloci superano sfrangiate la sella del rifugio Zilioli; mi preoccupano, conosco queste montagne ed in pochi istanti sono capaci di cambiare d’abito l’ambiente e farti bestemmiare tra le dificoltà. Per abbreviare il lungo percorso e guidati da uno scalpitante Luca prendiamo a salire diritti verso Cima di Prato Pulito. Conosco per averla fatta l’infinita pendenza di questa cresta e mentre Luca prende come al solito di petto la verticalità io e Giorgio aggiriamo le pendenze con traiettorie studiate. La presenza di neve nel versante dentro la valle e la poca voglia di indossare i ramponi impone anche a noi una traiettoria più diretta e tra sbuffi e spinte sui quadricipiti alle 9 e 45 ci viene consegnato uno dei panorami più belli (a parer mio) dell’intero Appennino. Dalla Cima di Prato pulito lo sguardo si infila all’interno della valle del Lago di Pilato e più giù verso la Valle della Gardosa custode del più isolato dei paesi dei Sibillini, Foce. Nonostante la velatura del cielo ormai diffusa lo sguardo raggiunge il mare e la mole del M.Conero. Da questa velatura qualche fiocco di neve, forse portato dal vento, comincia a scendere. Mi emoziono sempre un po’ quando godo di questa vista. Dietro di noi, imbiancato ed imponente ma dominato da scure nuvole che gli danno un aspetto testro e ancora più austero si impone l’intero gruppo della Laga-Gran Sasso. Sembra poterlo toccare. Proseguiamo sulla cresta, un continuo su e giù per dislivelli sempre sottovalutati quando il pensiero anticipa i passi; la conca del lago, parzialmente ghiacciato, è innevata, il pendio verso la Piana di Castelluccio ne è praticamente priva, le nostre traiettorie si tengono quindi al limite della neve; un po per evitare cornicioni precari visto il poco innevamento ed un po per non essere costretti a calzare i ramponi. Tocchiamo ancora senza averli calzati, Cima del Lago dopo nemmeno mezz’ora di cammino dalla prima vetta e senza quasi fermarci proseguiamo verso quello che è diventato inevitabilmente l’obiettivo della giornata, il Pizzo del Diavolo. Ancora 25 minuti e siamo sul Redentore da dove lo sguardo si perde in una unicità di creste forse mai ripetute in tutto il panorama appenninico. Quella appena percorsa è imponente ed audace, verticale, sembra una arcata di una mascella pronta a chiudersi sulla preda con le sue striature di roccia scura ad imitare dei feroci canini. Davanti invece quella affilata, corta ma al pari della sua brevità ripidissima in entrambi i versanti, sinuosa ed affilata, incontaminata, vergine forgiata dai venti e dalla neve; la cresta del Pizzo del Diavolo, quella che fa illuminare gli occhi di Luca, che fa ammutolire lo stupore, eppure incontenibile, di Giorgio. Tanto è bella e tanto attira questa cresta che ci dimentichiamo di essere sulla seconda vetta del gruppo, appena soli 28 metri più bassa della principale del Vettore. Calziamo i ramponi, riponiamo i bastoncini e ci armiamo di piccozza. Nessun indugio nonostante il filo della cresta faccia pensare di più ad un gioco equilibristico che ad una escursione di montagna. Apro la pista, scendo un po ma sento quasi un dolore fisico a dover rompere quell’equilibrio di linee naturali. Immortalo il sottilissimo filo di cresta così resisterà ad ogni egioistica velleità degli escursionisti. Senza pensare alle pareti ripidisime e immacolate di una neve purissima che abbiamo ai lati e a cui deidichiamo solo uno sguardo sfuggente (che basta però a farci sorgere il dubbio di una improbabile frenata in caso di caduta), ci inoltriamo lentamente e guardinghi lungo quel filo adrenalinico. Letteralmente a cavallo della cresta, un rapone di qua ed uno di là, affondano leggermente ma assicurano stabilità. Con circospezione ma con maggiore sicurezza avanziamo, la cresta si fa ora più larga, cambia pendenza e scende verso una selletta dove si apre un imbuto, uno scivolo che pare senza fine; sotto solo la valle del lago. Aspettiamo Giorgio che ci segue guardingo ma sicuro sui suoi primi passi in un territorio così in bilico sul mondo. Uniti continuiamo verso la punta finale ormai vicina; ancora un passaggio breve ma ancora più stretto e non rimane che salire la gobba finale. Luca ha finalmente frantumato il suo incubo. Venticinque minuti adrenalinici che sono sembrati cinque soli minuti per attraversare quel rasoio di neve tra il Redentore e Pizzo del Diavolo. Ed ora che ritorno su questo balcone unico, questa volta in inverno, ho la certezza che in tutti gli Appennini da me visitati non ci sia posto più affascinante. E’ una proiezione della montagna dentro la valle, un balcone sospeso che regala affacci sulle creste, sul Vettore, sulle profondità della Valle del Lago. Emozionante, unico, l’ombelico degli Appennini. Ma sale il vento , sale forte di intensità e quello non è certo il luogo migliore dove farsi sorprendere dalle raffiche del vento, soprattutto pensando ai tratti da percorrere per riguadagnare la dorsale “solida”. Raffiche che a stento ci fanno reggere in piedi ci costringono a rompere gli indugi; peccato, non sarei mai andato via da quel luogo magico. A tratti siamo costretti a fermarci e ad abbassarci sui punti esposti della cresta di ritorno per non rischiare di essere sbattuti di sotto dal vento ma la confidenza che abbiamo preso con l’ambiente ci permette di raggiungere agevolmente il Redentore. Nel frattempo avevo maturato l’idea di tornare da solo verso Forca di Presta per recuperare l’auto e favorire l’originario anello di cresta, e la conquista di Cima dell’Osservatorio e di Quarto San Lorenzo ai miei compagni. Da prima recalcitranti a mandarmi da solo ma rassicurati dal fatto che conosco il territorio come le mie tasche per le tante volte che ci sono stato il progetto prende corpo. Ci salutiamo e prendiamo ognuno per la propria direzione. Non li invidio. Mentre scendo il versante ripido di Cima di Prato Pulito il vento prende ancora più forza. I bastoncini mi occorrono per frenare le spinte del vento e a momenti scivolo sospinto da folate insostenibili. Penso ai miei compagni che devono invece contrastarlo e li penso ancora più preoccupato quando voltandomi indietro vedo il loro versante completamente dominato da nubi grigie. Penso che sarà il prezzo di quasta avventura, della conquista di due nuove montagne e che una volta giù avranno mille emozioni da raccontarmi. Io in nemmeno due ore raggiungo Forca di Presta favorito da un instancabile motore eolico che spinge alle mie spalle. Recupero l’auto e mi dirigo all’incontro con i compagni. In netto anticipo mi permetto anche uno shopping di prodotti tipici in un silenzioso e privo di turisti, ma sempre affascinante, Castelluccio e per attenderli mi parcheggio su di uno sperone a vista sul sentiero della loro discesa; me li immagino alle prese con la poca visibilità, col vento che li sbatacchia senza tregua; stanchi ma entusiasti e sofìddisfatti. Me li immagino così la loro discesa dal Redentore, come ve la faccio raccontare da Luca ………. ………………….....................la sicurezza dimostrata da Doriano nel voler proseguire da solo il ritorno a Forca di Presta, ruppe gli indugi: la sua conoscenza di quei posti non è seconda a nessuno e il suo particolare stato d’animo che quel giorno lo faceva essere pensieroso e taciturno mi convinse del tutto nel lasciarlo solo con se stesso. Giorgio ed io ci guardammo convinti nel voler andare avanti...sapevamo che l’ultimo tratto fino a Forca Viola procedendo la lunga cresta che parte dal Redentore scendendo verso le nostre due nuove mete non sarebbe stato troppo lungo, ma il maltempo lo stava caratterizzato con tinte fosche. Infatti il primo tratto di discesa verso la Cima dell’Osservatorio ci lasciava presagire il peggio: il vento sempre più freddo e forte ci obbligava ad utilizzare i bastoncini più per reggerci in equilibrio che per aiutarci nell’avanzare nella nostra passeggiata. Ci chiedevamo, parlottando e deridendoci per la condizione meteo in cui ci eravamo cacciati, del perchè del nome del monte che dà lì a poco avremmo raggiunto: forse perchè avremmo potuto “osservare” gli scenari che solo i Sibillini sanno mostare ai suoi assidui frequentatori. La realtà fu davvero più crudele di ogni nostra peggiore aspettativa: continuando lungo la cresta che conduceva ai 2350 mt, vetta del monte, abbiamo assistito impotenti all’alzarsi di una fitta nebbia spinta da un vento sempre più gelido che ha completamente avvolto non solo la Cima tanto sospirata ma anche la visuale così discussa strada facendo. Niente era ad un tratto più bello...il nostro entusiasmo svanito e il passo da lì in avanti sarebbe stato veloce perchè dettato dalla voglia di arrivare prima possibile a Forca Viola ed uscire da quella situazione così...plumbea, triste, che non motivava più i nostri passi. Scendendo in cresta ci accorgiamo di essere sul Quarto San Lorenzo (2247 mt) solo grazie al gps di Giorgio..lo scenario è ormai immutato e sempre lo stesso; la nebbia non permette di vedere al di là di pochi metri intorno a noi. Il vento freddissimo ha praticamente ghiacciato i nostri passamontagna, i nostri abiti e persino le nostre sopraciglia...a fatica tiriamo fuori la cartina che Giorgio aveva nella tasca laterale del suo zaino e individiuiamo quella che dovrebbe essere la direzione da prendere per raggiungere il sentiero che ci avrebbe portato a Forca Viola, alle pendici del Monte Argentella. La discesa non è delle più agevoli data la ripidità costante che dobbiamo affrontare resa ancor più difficile da sassi mobili e sducciolevoli e neve ghiacciata, ma da lì a una mezz’oretta intercettiamo il sentiero; arrivare ora alla fine della cresta non è una bella passeggiata: il sentiero è comodo e la nebbia è ormai sopra di noi, la neve pian piano svanisce e il paesaggio diviene verde e più tondeggiante. Passata Forca Viola ci attende ancora una lunga camminata che scontornado dal basso l’Argentella ci porta sopra alla Capanna Ghezzi. Da lì fino ad arrivare alla strada che unisce Forca di Presta a Castelluccio di Norcia il sentiro diventa ancora più largo...quasi carrozzabile...dico quasi perchè è ridotto davvero in uno stato di degrado deprimente: raggiungere il rifugio Ghezzi dalla strada principale è diventato possibile solo per un elicottero. La pendenza diminuisce sempre più e saltellando da un fosso all’altro, caratteristica principale del sentiero, fissiamo lo spettacolo che riempie la nostra sinistra: tutta la catena che collega Forca Viola al Redentore è ora libera da ogni nube..che magnifica veduta...rimaniamo senza parole, assorti nella contemplazione di quello che la natura sa e può offrirci...serve a ridarci forza, energia e a rallegraci dell’impresa fatta...avevamo percorso comunque 15 km e ben 7 vette conquistate...la vista di un Doriano allegro e pimpante che dalla strada ci fa segno di esserci ci dà l’ultima motivazione per raggiungerlo quasi correndo, per scaldarci in macchina dal freddo patito, per ragguagliarci sulla diversa fine della nostra uscita montana e per fissare, dinuovo stramotivati, una nuova uscita Aria Sottile il prima possibile....